ALIEN MANAGEMENT ORGANIZATION

di Lavinia Pallotta

Dal manga TOKYO ALIENS alle rivelazioni di Robert O’ Dean, fino al nuovo debunking 

A Tokyo c’è una sezione speciale della pubblica sicurezza – la A.M.O., che sta per Alien Management Organization – che si occupa di regolare e, quando necessario, intervenire con la forza, la presenza extraterrestre sulla Terra. La sede centrale dell’organizzazione, neanche a dirlo, si trova negli Stati Uniti, che «è il luogo dove gli alieni sbrigano le pratiche per entrare sulla Terra». Tutto ovviamente in gran segreto perché gli umani non devono sapere. Non sia mai.  

Benvenuti alla A.M.O.

Questa potrebbe essere una storia vera e invece è la trama di un manga intitolato TOKYO ALIENS, della mangaka Naoe, edito in Italia da Star Comics. Il primo volume è uscito da noi lo scorso febbraio e finora siamo arrivati al n. 7. Con un tratto incantevole e una toccante capacità di alternare umorismo e dramma personale, in una narrazione ricca di avvenimenti e di mistero, Naoe coinvolge i lettori nella storia di due giovani protagonisti - sono studenti delle superiori - a cui è facile affezionarsi. 

Akira Gungji è un ragazzo timido, un po’ impacciato ma estremamente sensibile e dal cuore generoso che si ritrova coinvolto, solo apparentemente per caso, nelle faccende della A.M.O. Sho Tenkubashi, invece, è uno studente della stessa scuola di Gunji, bellissimo e pieno di segreti. Uno di questi riguarda il come e il perché un ragazzo tanto giovane faccia parte della A.M.O. e sappia combattere come un fenomeno. E poi, immancabilmente, c’è il capo della sezione A.M.O. di Tokyo, Reiji Amamiya, che come ogni capo di una sezione segreta che si occupa di cose ultra segrete che si rispetti, sotto la sua flautata gentilezza sembra nascondere inquietanti segreti e una certa tendenza a dimostrarsi privo di scrupoli. 

Extraterrestri in mezzo a noi

L’Universo immaginato da Naoe pullula di civiltà extraterrestri che se ne vanno in giro nello spazio, visitando spesso e volentieri il nostro pianeta. Tutto questo via vai deve essere strettamente controllato e qualsiasi ET che metta piede sul suolo terrestre deve essere autorizzato per un periodo ben definito. Buona parte di queste civiltà sono amichevoli e, nel caso non fossero umanoidi, possono mimetizzarsi e camminare tranquillamente in mezzo a noi. Vivere in mezzo a noi. Poi ci sono gli alieni ostili e a uno di questi, che genera terrore solo a nominarlo, sono legate le vite dei nostri protagonisti.  

Ho cominciato a leggere TOKYO ALIENS con poche aspettative, perché così d’acchito non mi sembrava molto originale, ma i bellissimi disegni e la tematica mi imponevano di provare. Ne sono rimasta rapita. 

The Assessment

Chi si interessa di Ufologia probabilmente conoscerà il nome di Robert O’ Dean (Tucson, 2 marzo 1929 – Scottsdale, 11 ottobre 2018), ex sergente maggiore dell’esercito americano e coraggioso rivelatore di questioni legate alla presenza extraterrestre sulla Terra. Interessandomi di certe materie non esattamente mainstream da molti anni, ho sempre trovato curioso come tante persone siano ben contente di leggere certe storie nella fiction, o di gustarle sullo schermo, ma quando queste storie provengono da fonti reali, magari con un curriculum al di sopra di ogni sospetto di cialtronaggine, preferiscano liquidarle come fantasticherie, passando oltre, senza nemmeno lasciarsi incuriosire. 

Se fate parte di questo gruppo di persone, probabilmente l’articolo che state leggendo smetterà di interessarvi da qui in poi. Gli altri, invece, potrebbero trovare interessante ricordare che il maggiore Dean rilasciò delle dichiarazioni sconcertanti sulla presenza aliena sulla Terra. Secondo Dean, che aveva prestato servizio presso lo SHOC (Supreme Headquarters Operations Center) della NATO, uno studio militare complessivo sulla realtà UFO voluto proprio dalla NATO, e intitolato The Assessment, che lui aveva potuto visionare grazie al proprio nullaosta Cosmic Top Secret, negli anni ’60 si era a conoscenza dell’esistenza di almeno quattro diversi gruppi alieni coinvolti nelle faccende umane da centinaia, se non migliaia di anni, e tra questi c’era un gruppo era dall’aspetto del tutto simile a noi, tanto da potersi infiltrare indisturbato nella nostra società. Cosa che, aveva commentato Dean, preoccupava non poco le alte sfere militari. Potrebbe essere un manga, ma non lo è. 

Dagli ET agli UAP in retromarcia

Rober O’ Dean (nella foto) non si risparmiò mai, calcando le scene della comunità ufologica e sfidando lo scetticismo generale, per aprire gli occhi del mondo su una realtà che non era permesso conoscere, forse nell’ambito di un progetto di disclosure che vide protagonisti alcuni dei più importanti testimoni militari e non, provenienti dagli Stati Uniti. 

Quarant’anni fa qualcuno ebbe il coraggio di parlare di presenza extraterrestre in mezzo a noi e lo fecero testimoni di tutto rispetto. Oggi si cerca di sostituire l’acronimo UFO con UAP (Unidentified Aerial Phenomena) e nemmeno ci si vergogna. 

Che i militari si sentano più a loro agio parlando di UAP non mi sorprende; come non sorprende che chi manovra nell’ombra i fili del cover-up cerchi di riscrivere la storia dell’Ufologia facendo dimenticare tutto ciò che è avvenuto prima dell’ormai famoso articolo del New York Times “Glowing Auras and ‘Black Money’: the Pentagon’s Mysterious UFO Program” (16 dicembre 2017, di Helene Cooper, Ralph Blumenthal e Leslie Kean) e l’esposizione del modesto progetto di studio UFO del Pentagono. Ciò che mi fa cascare i globi oculari, invece, è l’assoggettamento volontario di buona parte del mondo ufologico a questo nuovo debunking mascherato da disclosure. Il termine UFO, ha spiegato la US Navy, ha ormai assunto una connotazione troppo extraterrestrialista e quindi lo hanno sostituiscono con UAP. D’altra parte anche nei progetti governativi francesi di studio degli UFO si è usato l’acronimo più generale PAN (Phénomène Aérospatial Non Identifié). Ma avete mai sentito un Ufologo parlare di PAN?! 

Nell’accettare di sostituire UFO con UAP accettiamo di retrocedere nel riconoscere la natura non terrestre ma intelligente di almeno una parte di questo fenomeno. E così non arriveremo mai a parlare di contatto ET, ma torneremo indietro, all’osservazione delle “luci misteriose” nei nostri cieli. Dimenticatevi di Robert O’ Dean, Philip Corso, di Wendelle Stevens, Travis Walton… Il loro coraggio non sarebbe servito a niente. Ora abbiamo gli UAP della US Navy (e lo dico comunque con grande rispetto per i militari che si stano esponendo per riportare le proprie esperienze) e gli Ufologi del Pentagono.

Loro, i burattinai, fanno la loro parte e ci provano. Ma voi, cari Ufologi, siete davvero pronti a farvi chiamare UAPologi? Se è così, ve lo meritate.

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